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In olio extravergine meno antiossidanti dopo 6 mesi in bottiglia
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Roma, 23 mar. (Adnkronos Salute) - L'olio extravergine d'oliva, ricco di antiossidanti, perde con il tempo e la conservazione la concentrazione delle benefiche sostanze anti-invecchiamento. Dopo sei mesi dall'imbottigliamento si riduce fino al 40% la presenza di questi elementi, con differenze che variano a seconda del tipo di olive utilizzate che, già all'origine, possono contenerne concentrazioni differenti. Lo dimostra uno studio italiano appena pubblicato sul 'Journal of Food Science', realizzato dall'equipe di Antonietta Baiano, ricercatrice in scienze tecnologie alimentari della facoltà di Agraria dell'università di Foggia. Lo studio è stato realizzato su oli originati dalla molitura di una sola varietà di oliva. "Sono state prese in considerazione - spiega Baiano all'ADNKRONOS SALUTE - diverse varietà, tra i prodotti a più larga diffusione. Abbiamo valutato la perdita di queste sostanze in condizioni di conservazione ottimali, con bottiglie di vetro chiuse, tenute al buio, a una temperatura di 20-25 gradi al massimo. E abbiamo registrato un normale decadimento di queste sostanze polifenoliche", in sei mesi la concentrazione si è ridotta fino al 40%. Una riduzione che dipende, in parte, anche dalla presenza degli antiossidanti nelle olive di partenza, la cui concentrazione può essere molto diversa a secondo delle varietà. Ma dipende anche da altri fattori come il metodo di spremitura e, ovviamente, la conservazione. Il principale nemico degli antiossidanti dell'extravergine è, infatti, l'ossigeno. "E' bene quindi, anche nella conservazione casalinga - spiega Baiano - confezionare l'olio in contenitori di vetro perché meno permeabile, chiusi ermeticamente e di piccole dimensioni. Man mano che si svuota la bottiglia aumenta l'ossigeno nel cosiddetto 'spazio di testa', che rimane vuoto nella parte alta della bottiglia, e gli antiossidanti si degradano più facilmente". E' inevitabile, però, che con il tempo si riduca comunque la concentrazione di antiossidanti, "di conseguenza l'olio diventa meno 'nutraceutico'. Questo non vuol dire però - precisa Baiano - che non si tratti comunque di un buon prodotto. Una riduzione del 40% della concentrazione di antiossidanti è in molti casi ininfluente, vista l'altissima concentrazione, soprattutto in alcune varietà di oliva come la coratina, molto ricche". Maggiori problemi possono esserci per gli oli 'dolci', che "hanno già un basso tenore di antiossidanti all'origine, come quelli provenenti dall'oliarola, ad esempio". Meglio dunque, in questi casi, puntare su un'ottima conservazione e sul consumo del prodotto 'giovane'.
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Psichiatria - lunedì 12 dicembre 2011
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Come interrompere gli antidepressivi(American Journal of Psychiatry)
Quando si parla di interruzione rapida della terapia ci si riferisce ad un periodo di 1-7 giorni, mentre la cessazione graduale comporta l’uso del farmaco a dosi ridotte per almeno 14 giorni.
Per verificare i risultati ottenibili con una cessazione rapida e graduale di antidepressivi, alcuni ricercatori italiani hanno seguito 398 pazienti affetti da disturbo depressivo maggiore (224 soggetti), attacchi di panico (75), disturbi bipolari di tipo I (37) o di tipo II (62).
Il follow-up è durato almeno un anno (mediamente 2.8 anni) e la durata media del trattamento antidepressivo è stata di 8.5 mesi. Nello studio, di tipo osservazionale, la scelta di interrompere il trattamento è stata decisa dal medico o dal paziente in base alla sensazione di stare psichicamente bene; gli antidepressivi sono stati smessi rapidamente in 188 pazienti e gradualmente in 210.
La cessazione rapida si è associata ad un minor intervallo di tempo prima della ricaduta (3.6 contro 8.4 mesi) rispetto alla cessazione graduale. I risultati sono stati più evidenti per i soggetti affetti da disturbo bipolare o da attacchi di panico. Con la cessazione rapida, le ricadute si sono presentate dopo un intervallo di tempo che non è stato collegabile al tipo di farmaco utilizzato, mentre dopo la cessazione graduale si è registrato un intervallo libero da disturbi più lungo con i triciclici che non con i moderni antidepressivi.
Infine, il rischio di ricaduta è stato maggiore con i farmaci a lunga emivita plasmatica mentre non ha dimostrato relazione con la dose del farmaco utilizzato, con la durata della malattia o con eventuali trattamenti concomitanti.
Il commento a questo articolo:
I risultati di questo studio confermano la pratica che si adotta comunemente nella cessazione degli antidepressivi: l’interruzione brusca della terapia si associa a maggior rischio di ricaduta e accorcia l’intervallo di tempo tra un periodo di malattia e il successivo.
Quanto debba durare il periodo di cessazione non è chiaro: si parla di settimane o addirittura di mesi.
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Fibrillazione atriale
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Fibrillazione atriale e mortalità nelle donne
(JAMA - Journal of the American Medical Association)
Dopo lo studio Framingham, che aveva denunciato un aumento della mortalità a lungo termine - soprattutto femminile - nei soggetti in cui insorge una fibrillazione atriale, altri studi successivi non hanno confermato questo rischio, per cui alcuni ricercatori hanno realizzato uno studio prospettico basato sulle partecipanti al Women's Health Study per valutare la mortalità in circa 35.000 donne non affette da problemi cardiaci al momento del reclutamento.
La fibrillazione atriale (FA) è insorta in donne che all’inizio dello studio erano di età più avanzata (59 anni contro la media di 53) ed avevano una maggior prevalenza di ipertensione e di ipercolesterolemia. Durante i 15 anni del follow-up è insorta FA in 1.011 donne, e 63 di queste sono decedute. Dopo analisi aggiustate il rischio di mortalità nelle donne con FA è stato di 2.1 (per motivi cardiovascolari è stato di 4.2 mentre per motivi non cardiovascolari è stato di 1.7).
Quando questo rischio è stato aggiustato per l’occorrenza di eventi cardiovascolari non fatali, ne è risultato che la mortalità si è attenuata, pur restando ancora elevata (mortalità globale 1.7; cardiovascolare 2.6; non cardiovascolare 1.4). Per quanto riguarda il tipo di FA, la mortalità non è risultata maggiore nelle donne con FA parossistica ma solamente in quelle con FA cronica e persistente. Nelle 74 donne con una FA isolata (senza alcuna altra patologia) non si sono verificati decessi durante 7 anni di follow-up.
Il commento a questo articolo:
Ha senso attribuire l’eccesso di mortalità alla FA quando il 40% delle donne partecipanti allo studio non erano affatto “sane”? La presenza di ipertensione e/o dislipidemia potrebbe giustificare da sé l’aumento dei decessi, per cui il messaggio è semplice: occorre tenere attentamente sotto controllo tutti i fattori di rischio e le condizioni patologiche che possono portare ad una mortalità cardiovascolare aumentata.
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Beta-bloccanti nella BPCO
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(British Medical Journal - BMJ)
Molti β-bloccanti hanno in scheda tecnica la controindicazione al loro uso nelle broncopatie ostruttive, per cui anche nella BPCO vengono raramente utilizzati con la paura che possano scatenare o peggiorare un broncospasmo.
Con questo studio retrospettivo sono stati valutati gli effetti dei β-bloccanti sulle riacerbazioni di malattia, ricoveri ospedalieri e mortalità in 6.000 pazienti scozzesi affetti da BPCO. Nel complesso, 819 soggetti utilizzavano β-bloccanti.
Dopo un follow-up medio di 4.4 anni (in tale periodo sono deceduti circa un terzo dei pazienti) l'uso di β-bloccanti si è associato ad una diminuzione del 22% della mortalità globale, e tale dato è risultato indipendente dal tipo di terapia inalatoria cui i pazienti hanno fatto ricorso (steroidi, LABA, anticolinergici, associazioni varie). Da rimarcare che l'uso dei β-bloccanti non ha avuto alcuna interferenza con la funzionalità respiratoria.
Il commento a questo articolo:
Anche uno studio del 2010 era arrivato alle stesse conclusioni, che non sono poi così stupefacenti: il 90% dei β-bloccanti utilizzati é di tipo cardioselettivo (atenololo, metoprololo), e molti soggetti erano anche cardiopatici, con indicazioni quindi all'uso di tale tipo di farmaci.
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